La cerchia di Guglielmo Caccia detto il Moncalvo: Giovanni Francesco Biancaro, il Maestro


Sulla vita di Guglielmo Caccia e sulle opere è quasi tutto noto. Molto meno si conosce sulle vite e le opere dei pittori che accompagnarono il ” Raffaello del Monferrato” durante la sua prestigiosa carriera e che spesso lavoravano con lui alla realizzazione delle tante commesse in cui era impegnato.
Si tratta di una serie di personaggi dall’ indubbio talento ma che rimangono nell’ombra della fama del grande pittore e della figlia Orsola : da Giorgio Alberini detto Giorgio da Casale a Francesco Fea, fintanto a Francesca Caccia le cui opere sono spesso accomunate a quelle dell’altra figlia Orsola. Meriterebbero una riscoperta che ne evidenziasse il valore non secondario.
In questa breve disamina partiamo dal maestro di Guglielmo Caccia, il pittore che lo ha seguito nel suoi primi anni di attività influenzandone pertanto la formazione : Giovanni Francesco Biancaro da Trino.
Francesco Biancaro nasce a Trino tra il 1546 ed il 1549. Viene subito indirizzato dal padre Giovanni Pietro alla scuola del pittore trinese Ottaviano Cane, il contratto di alunnato è del 12 Giugno 1563 in cui il padre si impegna a consegnare alla controparte, tre sacchi di frumento per il sostentamento del giovane in attesa della sua formazione.
Il Biancaro si può pertanto considerare illustre esponente di quella scuola di Trino che si forma tra il XVI e XVII secolo a partire proprio dal Cane e che comprende anche Ambrogio Oliva e Giovanni Crosio. Ambrogio Oliva che è il padre di Laura Oliva moglie di Guglielmo Caccia.
Terminata la formazione a Trino il Biancaro si trasferisce a Nizza Monferrato, o meglio a Nizza della Paglia come era la denominazione originale per via dei tetti delle case che anticamente venivano costruiti con paglia intrecciata ed erbe.
A Nizza il pittore si stabilisce con tutta probabilità a seguito del decesso del padre e del matrimonio 1 luglio 1573 con Isabella Franceschino detta Bellina, vedova del nobile Ettore Grasso di Nizza. La donna si sposa con il pittore in seconde nozze e apporta una piccola dote particolarmente importante, visto che i primi tempi per i due coniugi devono essere particolarmente faticosi. I coniugi hanno una figlia di nome Anna di cui non si conosce la data esatta di nascita.
La prima opera datata con certezza è la Madonna con il Bambino in trono con angeli tra i Santi Stefano e Sebastiano ed oggi conservata nella chiesa parrocchiale di Santo Stefano a Castelnuovo Calcea. Sul cartiglio in basso nella tela si legge infatti 1575.
La particolare qualità della pala, la giusta composizione ed il perfetto equilibrio cromatico ed anche una certa ricercatezza tecnica, come l’acqua dell’ampolla in mano al putto, accanto ad una evidente considerazione della pittura prima gaudenziana e poi vercellese, fanno ritenere che il lavoro sia stato realizzato con la vicinanza fattiva del maestro Ottaviano Cane, il quale scompare l’anno successivo.
Del 1576 è il dipinto con la Natività con i Santi Giovanni Battista, Lorenzo e donatori.La tela custodita oggi nella chiesa di Sant’Antonio Abate ad Incisa Scapaccino, riporta, la firma e la data bene espressi nella parte mediana della scena alle spalle del San Lorenzo: IO’ FRANCISCHUS / BLANCARIUS TRIDIN / FACIEBAT / 1576
A partire dal 1577 pare che le commissioni comincino a succedersi con buon ritmo. E’ del 22 gennaio del 1577 infatti l’atto notarile con cui l’artista si impegna nella Decorazione del palazzo del Conte Giovanni Thea, nella stessa Nizza della Paglia.
L’anno successivo, il 1578, i confratelli della compagnia di Sant’Agata della parrocchiale di San Giovanni Evangelista a Rosignano, si accordano con il pittore per un’ ancona da sistemare sull’altare intitolato alla loro santa patrona. All’opera pittorica si affianca anche l’attività di intaglio della cornice di cui il Biancaro è esperto.
Ed ancora il 18 ottobre 1578 contrae nuovo accordo per la realizzazione di un’ ancona, raffigurante la Madonna con il Bambino, con la Compagnia della Beata Vergine nella parrocchiale di San Giacomo Maggiore ad Agliano.
Risale al 1579 un quadro dipinto ad olio su tela e fissato su tavole di legno dal soggetto originale di Gesù morto e coricato sulle ginocchia di Maria ai piedi della Croce.Sulla base della tela è riportata la scritta FRANCISCUS BLANCARIUS TRIDINAS FACIEBAT 1579. L’opera risulta realizzata per la Cattedrale di Acqui ed in particolare per l’altare della cappella della Santa Croce.
l 14 aprile sempre del 1580 i massari della Compagnia del Santissimo Rosario di Masio, richiedono al pittore una ancona con al centro la Assunzione della Vergine, il Padre eterno e la Natività di Maria.
Ancora l’1 dicembre 1580, gli agenti della Compagnia del Corpus Domini a Nizza, richiedono al Biancaro un’ ancona da consegnarsi entro il mese di agosto dell’anno successivo.
Tutte queste opere risultano scomparse nel corso dei secoli.
Ancora presente è visibile è invece la pala commissionata l’8 gennaio del 1582 dalla nobildonna Viscontina Nasella e donata ai frati della chiesa di Santa Maria dei Carmelitani di Incisa avente per oggetto l’Annunciazione. La pala è firmata al centro sulla base del colonnato FRANCUS BLANCARIUS TRIDINAS F ed è realizzata con tre tavole messe in verticale.
Nell’ultimi tempi della permanenza a Nizza del Biancaro a ridosso del 1585 circa, va situata l’importante tela con la Madonna con il Bambino in gloria, San Sebastiano e Sant’Antonio Abate, presente nella Chiesa di Sant’Antonio Abate ad Incisa Scapaccino.
Accanto ad elementi tipici, come il taglio degli occhi dei personaggi, il nimbo di San Sebastiano, il volto della Vergine, il colore rosso e la forma della testa del putto sotto i piedi della Madonna e soprattutto lo sfondo panoramico con la città, forse la stessa Incisa, che si staglia da un fondo indistinto ed omogeneo identico alla pala della Natività, compaiono elementi nuovi estranei al sentire del Biancaro che possono suggerire il timido inserimento del pennello del giovanissimo Guglielmo Caccia, apprendista di bottega. Sono ammissibili a tale ipotesi i due putti in alto, il corpo del Bambino, in particolare la testa e le sagome dei due santi comprese le mani.
Questo può essere considerato forse uno degli ultimi lavori del Biancaro nella bottega di Nizza, egli infatti ritorna alla città natale di Trino. Dopo la scomparsa di Ottaviano Cane e con il figlio Carlo nato il primo giorno di gennaio del 1559, non ancora in grado di imporsi, diviene nuovo territorio di conquista per il Biancaro che nel marzo del 1585 si propone alla Compagnia degli Apostoli e del Sacratissimo Corpo di Nostro Signore Gesù Cristo, per la produzione di un Tabernacolo da porre sull’altare maggiore della chiesa di San Bartolomeo.
All’attività di pittore il Biancaro affianca costantemente quella di intagliatore con la produzione di diversi Tabernacoli e Crocifissi decorati.
I lavori svolti in compagnia di Ambrogio Oliva e di Raffaele Giovenone costituiranno l’ultima presenza di carattere artistico del Biancaro che fa testamento il 10 maggio 1588 e muore il giorno dopo l’11 maggio 1588, con tutta probabilità nemmeno quarantenne, lasciando la figlia Anna erede universale e qualche debito da saldare.
La morte precoce di Giovanni Francesco Biancaro induce a pensare che fosse stato colpito da tempo da una malattia importante che però gli lasciasse la facoltà di lavorare. Forse proprio la malattia incipiente è la causa che va ricercata nel suo ritorno a Trino nella primavera del 1585.
Giovanni Francesco Biancaro e Guglielmo Caccia
Sullo stretto rapporto tra il Biancaro ed il giovane Guglielmo Caccia riportiamo lo studio di Lorenzo Zunino.
21 ottobre 1582, neanche tre mesi prima la madre e lo zio paterno Antonio avevano accompagnato il piccolo Guglielmo a Nizza della Paglia, presso la bottega del pittore Giovanni Francesco Biancaro.
Salta immediatamente agli occhi la coincidenza tra la data in cui il Biancaro si reca ad Acqui per stipulare l’accordo relativo all’ancona della Compagnia della Beata Vergine degli Angeli, il 17 maggio 1582 e la presa di servizio del piccolo Guglielmo nella bottega di Nizza avvenuta il 21 ottobre dello stesso anno. Sembra assai probabile che nel viaggio di andata o ritorno per la città termale si sia creata l’occasione dell’incontro tra il Maestro trinese ed il piccolo artista contadino. Occasione magari fortemente cercata dalla madre forse con l’intercessione del parroco di Montabone, sicuramente in contatto con i priori della Compagnia della Beata Vergine degli Angeli di Acqui. Nell’incontro il Biancaro probabilmente impressionato da qualche disegno mostrato da Guglielmo, lo aveva invitato a servizio nella propria bottega che stava vivendo un periodo di fortunata congiuntura.
Dopo i mesi estivi passati a sistemare la campagna nel periodo di maggior lavoro ed anche utilizzati per preparare la dote necessaria per l’allunato, ecco che il mese di ottobre giunge adatto all’inizio della nuova vita.
L’accordo prevedeva la permanenza del ragazzo per un anno al fine di apprendere l’arte della pittura con diligenza ed ubbidienza ed il Maestro si obbligava ad insegnare tale arte, a nutrirlo ed a vestirlo.
In realtà con tutta probabilità l’alunnato in bottega dovette proseguire per un periodo superiore ad un anno, forse almeno fino al ritorno del Biancaro per il paese natio di Trino, avvenuto agli inizi del 1585.
La prima committenza assegnata al Biancaro a Trino risale al marzo 1585 e precede una serie di opere ancora da individuare e studiare con certezza, prima della morte avvenuta l’11 maggio del 1588, probabilmente non ancora quarantenne.
Nei due anni mezzo scarsi dall’ottobre 1582 al marzo 1585, in cui il Biancaro ed il Caccia lavorano fianco a fianco nella stessa bottega, il giovane apprendista con tutta probabilità scalpita per adoperarsi con tele, pennelli, colori e biacca. Nonostante sia anche un intagliatore in legno il Maestro è chiamato sicuramente alla lavorazione di pale d’altare per le numerose confraternite dedicate ai vari santi delle chiese della zona. Nello scarso repertorio delle pale d’altare ne compare una con la Madonna con il Bambino in gloria con i Santi Sebastiano ed Antonio Abate, che la critica assegna genericamente ad un pittore di derivazione ligure-piemontese e visibile ancora nella chiesa di Sant’Antonio ad Incisa.
Appare attribuibile invece a Giovanni Francesco Biancaro, in mancanza di firme o documentazione d’archivio, per le attinenze figurative in comparazione alle altre opere conosciute del Maestro. Si precisa inoltre che l’opera è decisamente da posizionarsi al termine del periodo nicese, quindi a ridosso del marzo 1585 ed è formalmente più evoluta rispetto alle precedenti. Accanto ad elementi tipici, come il taglio degli occhi dei personaggi, il nimbo di San Sebastiano, il volto della Vergine, il colore rosso e la forma della testa del putto sotto i piedi della Madonna e soprattutto lo sfondo panoramico con la città, forse la stessa Incisa, che si staglia da un fondo indistinto ed omogeneo identico alla pala della Natività, compaiono elementi nuovi estranei al sentire del Biancaro che possono suggerire il timido inserimento del pennello del giovanissimo Guglielmo Caccia, apprendista di bottega. Sono ammissibili a tale ipotesi i due putti in alto, il corpo del Bambino e le sagome dei due santi comprese le mani.
Si può ritenere che la pala sia stata co-prodotta nella bottega di Nizza della Paglia in un tempo appena precedente alla dipartita del Maestro in direzione di Trino. Le due tavolette con San Rocco e Sant’Antonio Abate, oggi scomparse, probabilmente inserite nello stesso contratto di commitenza invece potrebbero essere state realizzate nei mesi successivi dal pittore di Montabone in autonomia con il bene placido del Biancaro, impegnato in altre avventure e comunque già fiducioso nell’arte dell’allievo.
Se ad oggi appare certo il primo passo di Guglielmo a Nizza della Paglia alla corte del Biancaro, suffragato da ritrovamenti d’archivio chiari e precisi, il proseguimento dell’avventura artistica dal fatidico marzo 1585 è soggetto ad illazioni e voli pindarici, ma in verità non troppo arditi.
La situazione a bocce ferme nella primavera del 1585, vede Giovanni Francesco Biancaro nella sua amata e forse rimpianta Trino. Ambrogio Oliva altro pittore che incrocerà le sorti artistiche e famigliari del giovane Caccia è impegnato nella bottega di Casale Monferrato e appena al di la dei confini monferrini in pieno territorio sabaudo opera la bottega dei Lanino a Vercelli.
Guglielmo nella primavera del 1585 ha appena diciassette anni ed ha potuto dimostrare nel periodo di servizio a bottega che il suo estro artistico non era affatto mal riposto.
Lasciato solo con tutti i mezzi tecnici a disposizione grazie alla benevolenza di Bellina, proprietaria effettiva dello stabile in cui sorgeva la bottega e l’occhio di riguardo del vecchio Maestro forse già malato, ma sempre prodigo di consigli, il ragazzo avverte la necessità di effettuare uno scatto di orgoglio. Lo deve principalmente a sua madre che tanto ha investito in lui e soprattutto a se stesso che continua fortemente a credere nella capacità delle sue mani.
Ad aiutarlo in questo periodo in cui non è più un ragazzino inesperto, ma nemmeno un pittore già pronto e fatto, sicuramente ha una funzione determinante la profonda ed incrollabile fede che lo accompagna fin da quando era bambino. In particolare la sua devozione va nei confronti della Madonna, con cui dialoga giornalmente in un rapporto intimo e diretto, quasi come se la Vergine avesse preso il posto della amata madre.
Il clima artistico trinese risente della vicina Vercelli ed i contatti con la bottega dei Lanino sono inevitabili.
In quei mesi realizza l’Annunciazione e la Madonna con il Bambino, San Michele e San Rocco, entrambe firmate e datate 1585 e collocate a Gaurene. L’esito non è ancora quello di un grande pittore, ma si allinea alla qualità esecutiva, compositiva e cromatica del suo Maestro. Mostra però a tutti che il mondo della pittura gli è proprio. Nonostante le avversità della vita e la lontananza dalle grande città, tecnicamente sta evolvendo e si prepara alla competizione del futuro. Vuole cominciare a camminare da solo, fare il pittore con un proprio stile.
Con molta probabilità anche la Madonna con il Bambino ed i Santi Gerolamo e Paolo della Chiesa di Santa Maria di Castro a Trino, si colloca nello stesso periodo e nello stesso afflato creativo.
Le commissioni sono frutto ancora del lavoro di bottega del Biancaro, ma è il giovane Guglielmo che è chiamato alla progettazione ed all’esecuzione delle pale.
Se l’Annunciazione, è ancora intrisa del gusto provinciale sia formalmente che cromaticamente con la Madonna con il Bambino, San Michele Arcangelo e San Rocco, avviene una vera e propria rivoluzione. Se la prima è stata eseguita al cospetto del Biancaro a Trino o addirittura ancora nella solitudine di Nizza, con la seconda opera il pittore di Montabone opera direttamente nella bottega vercellese dei Lanino. Per lui è con tutta probabilità un esame di maturità. Avverte il clima culturale della città piemontese ed avverte su di se il perso dell’eredità lasciata oltre che da Bernardino Lanino, anche da Gerolamo Giovenone fino su al grande Gaudenzio Ferrari.
A questo punto la ruota della fortuna ricomincia a girare per il verso giusto. Viene chiamato a collaborare per gli affreschi di una piccola chiesa, ottenendo quindi un lavoro che dura con tutta probabilità almeno alcuni mesi e chi gli offre il lavoro non è proprio una bottega qualsiasi, ma proprio quella dei Lanino di Vercelli con i fratelli Pietro Francesco e Gerolamo.
Siamo nel 1586 e la bottega vercellese è chiamata ad affrescare la Chiesa di San Michele a Candia Nomellina. Nemmeno tre anni prima, nel 1583 il grande capofamiglia Bernardino, scompare lasciando un enorme vuoto dietro di sé difficile da colmare. I due fratelli si rendono conto che pur conoscendo tutti i segreti del lavoro, avendo a disposizione i cartoni ed i bozzetti ed una bottega prestigiosa e bene avviata, non potranno mai giungere ai livelli del grande padre, colui che ha saputo sostituire addirittura Gaudenzio Ferrari prima a Vercelli e poi sulla piazza di Milano.
Guglielmo dal canto suo si vede trasportato in un’altra dimensione. Finalmente ha modo di frequentare attivamente una delle botteghe meglio organizzate presenti in Piemonte e forse in tutta l’Italia. Inizia come garzone muratore, il suo compito è montare i ponteggi, miscelare l’intonaco, preparare la calce e stupisce i due fratelli Lanino, quando mostra di sapere macinare le polveri e trattare i pigmenti. Lo stupore si traduce in meraviglia quando lo osservano disegnare a carboncino sul muro, preciso nel tratto e perfetto nelle proporzioni, fino ad inebetire i presenti quando prende i pennelli in mano e si permette di delineare i visi dei personaggi con sfumature sovrapposte delicate e rotonde. Lo invitano ad occuparsi di un lembo della veste di un personaggio ed egli in poche pennellate si appropria dell’intero personaggio, passando dal verde scuro all’ocra chiaro, in punta di pennello senza cedere in ripensamenti. D’altronde la pala dell’anno prima per Guarene aveva già fatto comprendere ai fratelli Lanino di che pasta era fatto il giovane pittore allievo del Biancaro. ……..