Carlo Antonio Porporati il principe degli incisori
All’interno della propria sede l’Associazione gestisce una collezione delle incisioni di Carlo Antonio Porporati che fu proprietario della Villa S.Luigi agli inizi del XIX secolo.
Riportiamo qui alcuni esempi
“Chi ama nelle produzioni del’arte nostra precisione, nettezza di taglio, verginità di lavoro, fusione e trasparenza di tinte, armonia di chiaroscuro, equilibrio d’artificio, costanza di stile, cose tutte da tenere in gran pregio, fermi lo sguardo sulle opere del nostro Porporati…. E’ un artefice rispettabilissimo e fu il primo incisore italiano, il quale s’occupasse della purità del lavoro e dei vezzi del bulino : prima di lui non si pubblicavano fra noi che schizzi d’acquaforte e mai stampe finite, oppure le più condotte erano d’un taglio alquanto gretto, rozzo e malinteso”. Così Giuseppe Longhi, nel suo volume ” La Calcografia” del 1830 sui più grandi incisori del XVIII e XIX secolo, rissume l’opera di Carlo Antonio Poroporati.
Malgrado il Porporati avesse studiato l’arte sotto la direzione di Wille e di Beauvarlet a Parigi, poco o nulla traspare di questi maestri dalle sue opere. Egli sviluppa un suo proprio stile innovativo e nuovo nel tratteggio delle carnagioni. Come prosegue il Longhi ” Egli introdusse nelle mezze tinte più vicine alla striscia dell’ombra e nei riflessi dell’ombra medesima l’intrataglio, anche detto spacco, in luogo dei punti oblunghi d’impasto nell’amandola delle incrociature, ingrossando sovente il detto intrataglio fino al valore del taglio dominante. Per evitare il mal effetto che produrrebbero i secondi tagli troppo distanti tra loro rispetto ai primi , vi aggiunse un terzo segno di minor grossezza del secondo, ma pur sentito. Anche i punti d’impasto nelle mezze tinte chiare fatte a taglio interrotto furono da lui disposti non mai obliquamente, ma sempre coll’andamento dei primi segni a guisa d’intrataglio con più staccata interruzione. Questo metodo è adatto per l’eccellenza nella rappresentazione di certe carnagionidi pelle fina, delicata e liscia, le quali non hanno visibile porositàed abbondano di quelle mezze tinte in cui staspaiono le vene e che i pittori chiamano oltremarine, perchè molti passaggidi tinta non possono essere meglio imitati, che servendosi in parte di quel colore azzurroche dicesi oltremare. Questo artificio riesce all’ occhio gradevolissimo, producendo nell’intaglio tinte fluide e tenere oltremodo.”
Questa tecnica risalta in alcune opere in modo particolare quali la ” Fanciulla con il cane” tratta da Greuze e “Le Coucher” tratta da Vanloo, che risultano tra le più riuscite.