Carlo Antonio Porporati
Il Torinese Carlo Antonio Porporati, esponente delle tendenze incisorie del primo Settecento, fu anche uno dei più grandi calcografi italiani.
Oltre che all’impareggiabile sua maestria nella tecnica bulinistica, cioè nel « taglio dolce» allora considerato come unica ed elevata possibilità espressiva nel campo calcografico, l’artista deve la fama anche e soprattutto al sentimento ed alla personalità, che seppe infondere alle proprie opere, che non resteranno fredde ed impassibili traduzioni, come allora costumava, di dipinti di maestri, ma interpretazioni vive ed intelligenti, anche se non del tutto rese nello spirito dei modelli.
Carlo Antonio Porporati nacque a Torino (Volvera) nel 1741. Avviato dai genitori agli studi di architettura militare e di disegno topografìco, ottenne un impiego presso l’ufficio della Topografia Reale.
L’ammirazione per l’opera degli incisori, che spesso si dilettava di ricopiare a penna nelle poche ore d’ozio, lo attirava irresistibilmente a quest’arte. Quando ricevette l’incarico di disegnare, per un incisore che si sarebbe fatto venire da Milano, il piano topografico della « Sorpresa d’Asti» avvenuta nel 1746 ed in cui cinquemila francesi avevano deposte le armi, Porporati eseguì il disegno a penna e, caduto ammalato l’artista e d’altronde urgendo il lavoro, si accinse egli stesso ad incidere.
L’esecuzione fu così felice, che il conte Bogino elogiò il giovane presso il re Carlo Emanuele III e gli ottenne una borsa di studio, perchè andasse a perfezionarsi in Parigi nell’intaglio della topografia.
Uno studio coscienzioso ed assiduo per il mestiere prima e poi le fedeli visite alla Calcografia reale, alle raccolte di stampe ed agli studi dei più noti incisori, nonchè tre mesi di pratica d’arte nella bottega del Chevillet resero il Porporati padrone dei mezzi incisòri e di un gusto ormai ben saldo.
Ritornato a Torino, come omaggio di riconoscenza al suo re ne incise il ritratto, interpretando un disegno del pittore di corte Dupra. Il conte Bogino presentò l’incisione, perfettamente riuscita nell’intaglio elegante e raffinato, a Carlo Emanuele III, ed ottenne all’artista una generosa gratificazione, l’aumento dello stipendio e la libertà di consacrarsi al bulino.
Pieno di entusiasmo, il Porporati volle riprendere il suo perfezionamento, e si recò alla scuola del Beauvarlet in Parigi. Ma non gli piacque a lungo quella di lui maniera scialba e monotona, onde, come scrisse Roberto d’Azeglio, «si fece egli stesso, aiutato dal proprio genio e dai consigli dei primari in cis ori e pittori, capo di una scuola ». Se mai, si accostò piuttosto allo stile del Wille, dal quale apprese la nitidezza e la equidistanza dei segni, ritenute allora precipue doti bulinistiche. Contrasse, intanto, grande amicizia col celebre pittore Greuze, di cui incise il bel quadro « La fanciulla col cane », rica vandone una stampa molto reputata e che fu venduta talora a prezzo elevato; e sotto la sua guida si dedicò anche, con notevole successo, alla pittura ad olio. Tra i molti dipinti suoi va ricordato l’« Autoritratto », conservato agli Uffizi.
Ma l’incisione del citato quadro di Greuze aveva sollevato un coro di ammirazioni per l’intaglio magistrale e per la straordinaria ricchezza di mezzitoni. E Parigi, che aveva accolto il Porporati come scolaro, lo consacrò maestro e lo volle in seno alla sua Accademia, a sei anni appena di distanza dal momento in cui egli aveva impugnato il bulino e due anni prima che tanto onore fosse concesso al Beauvarlet.
Da allora fu un susseguirsi di stupende incisioni, che stabilirono la fama di bulinista del Torinese, che lo stesso Longhi additava come modello di virtù bulinistiche a chi amasse «precisione, nettezza di taglio, verginità di lavoro, fusione, e trasparenza di tinte, armonia di chiaroscuro, equilibrio d’artificio, costanza di stile ». Secondo l’autore de « La Calcografia », il Porporati ha il merito di avere introdotto «un nuovo artificio nell’incisione delle carni, vale a dire l’intrataglio nelle mezze tinte più vicine alla striscia dell’ombra invece dei punti oblunghi d’impasto nella mandorla delle incrociature, e fatto inoltre i punti di impasto nelle mezze tinte chiare non mai obliqui, ma sempre coll’andamento dei primi segni: il che gli fornì il mezzo di poter imitare per eccellenza certe carnagioni di pelle fina, delicata e liscia, le quali non hanno visibile porosità e lasciano trasparire le vene, che i pittori chiamano oltramarine ».
Per tal modo il Porporati fu ritenuto il primo incisore italiano per purezza di lavoro e per « vizi di bulino ».
Tornato, il 1773 nella sua città, fu eletto socio dell’Accademia di Belle Arti, e rimase al servizio del re come professore di incisione.
Venti anni dopo fu invitato a recarsi in Napoli per fondarvi e dirigervi una scuola di intaglio: col consenso di Vittorio Amedeo III vi si recò, restandovi poi quattro anni ed eseguendo in quel periodo la «Madonna del Consiglio» e il ritratto punteggiato della regina di Francia Maria Antonietta.
Nel 1797, rientrato a Torino, ebbe dal sovrano la nomina a conservatore dei Disegni e Quadri del regio Gabinetto. Ultimo suo lavoro di incisione fu la « Leda nel bagno» del Correggio; ma la vista indebolita per il lavoro eccessivo e per l’età avanzata non gli impedì tuttavia di ammaestrare buoni allievi, tra cui il Palmièri.
Negli ultimi anni di vita e di attività, trascorsi in un momento di tumultuose vicende politiche, l’artista ebbe la consolazione di ritrovare nel re Vittorio Emanuele I, tornato nel 1815 nei suoi domini, la generosa comprensione e la munificenza del suo benefattore.
Morì, settantacinquenne, nel 1816 a Casa Tempia in Contrada S.Francesco 2 a Torino per “infiammazione”, mentre il sovrano, in riconoscimento dei suoi meriti, lo nominava cavaliere dei Santi Maurizio e Lazzaro.
Tra le più belle delle sue incisioni, accanto alle già ricordate, sono ancora: la « Susanna al bagno» del Santerre, la «Morte di Abele» di Van del’ Werff, la « Zingarella» del Correggio, la «Venere che carezza Amore» di Pompeo Battoni e la «Donna che si corica» di Van Loo.
Essenzialmente bulinista, il Porporati praticò anche l’acquaforte (che del resto solitamente usava come preparazione per l’intaglio a bulino) e la « maniera nera» e può essere definito, per l’essenza della sua vasta opera, il « pittore» dei bulinisti.
Lo ricorda così Giuseppe Grassi nel 1816 ” Il Professore Porporati era bello di aspetto, di statura elevata e di nobilissima presenza. Aveva maniere delicate e discorso elegante. Sentiva altamente di sè e con ragione. Amava l’arte sua appassionatamente e mostravasi giusto estimatore degli artisti che fiorirono al suo tempo.”